BENEDETTA BONICHI NEL SECONDO REGNO
di Baltasar Porcel
Barcellona, luglio 2003
Benedetta Bonichi presenta ora queste biografie, questi spectrogrammi. In precedenza, ha lavorato con un'altra inquietante idea: lenzuoli stesi con alcune protuberanze che suggerivano, sotto di essi, la presenza di un corpo umano inerte, come in attesa. Ora, le sue grandi lastre ci rivelano lo scheletro essenziale del nostro essere, con i suoi gesti, con la sua naturalezza, privato, tuttavia, della carne: lo sgomento, la paura, il timore ci assalgono.
In ambedue le esperienze, sia con i lenzuoli che con i raggi X, ci troviamo davanti ad una medesima ossessione: il mistero che rappresentiamo per noi stessi. Non si tratta peraltro, di una metafisica, in definitiva di una fuga verso regioni ideali, ma di un'immersione nel fisico, nella bellezza tangibile che indubbiamente possediamo, e che è, però, essa stessa, deteriorabile, per meglio dire, dov'è, dove sta?
Benedetta Bonichi ci spoglia della nostra apparenza reale, del nostro amore carnale, delle nostre fattezze, per ridurci ad un'essenza che, dopotutto, è un fantasma: vaghiamo in uno spettro, non esiste remissione per i cuori, ma solo amari riferimenti al bene perduto. Vale a dire, la antimetafisica. Una tomba con le sua ossa monde in mezzo al deserto. L'unica luce è quella che la notte emana.
Così, Benedetta Bonichi, che è di Roma e a Roma lavora, parte dal versante artistico e filosofico più caro all'universo romano moderno, il barocco, per cancellarlo e smontarlo. Sarebbe come se potessimo captare, conoscere, la grandezza di Bernini senza Bernini, fantastica ipotesi che benedetta Bonichi, immersa nella sua sfida trasforma in realtà. In rarissime occasioni un'artista ha plasmato come lei l'anima dell'angustia senza nemmeno alludervi. E' come se un giocoliere non manipolasse illusioni, ma la veracità medesima.
Esiste, tuttavia, un altro elemento fondamentale nell'opera di Benedetta Bonichi, che, in fondo, è quello che ci fornisce la misura della sua autentica grandezza: lo stile, la stilizzazione. Prima, con il lenzuolo, lavorava solo col colore bianco e con pochi dettagli. Ora, con le radiografie, usa unicamente il nero e alcune silhouette. E tutto è sempre lindo, limpido, rigoroso, una specie di geometria spirituale dell'arte. La forza del barocco senza i suoi mille orpelli e contorsioni.
Questa ricerca di stile di Benedetta Bonichi la avvicina, inoltre, ai momenti di maggior esigenza dell'arte contemporanea, come allorché Malevich raggiunge la purezza della linea e del colore nella sua totale nudità e come massima espressione rivelatrice.
Benedetta Bonichi, quindi, con la sua tenace e austera investigazione ha finito per sfociare nella creazione di una poetica propria, originale e rigorosa, munita di una sorprendente capacità di dialogo con lo spettatore: le sue opere ci interpellano sempre. Cosa rispondere? Cosa rispondermi? Non lo so. Sono fragile, sono un enigma nel tempo. Sono nel Purgatorio: quello di Dante. E leggo, convinto che l'eternità risieda nell'istante spettrale, nella sua porta occulta, verso una regione che ignoro:
Per correr miglior acque alza le vele Omai la navicella del mio ingegno, Che lascia dietro a sé mar si crudele; E canterò di quel secondo regno Dove lumano spirito si purga E di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesì resurga, O sante Muse, poi que vostro sono.
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