Marcelle Padovani
 
     
 
   

CONTROLUCE

di Marcelle Padovani

Roma, 2002

Queste pagine nascono dall'incontro avvenuto a Roma il 19 marzo, nello studio di Piazza di Pietra, tra l'artista e la giornalista e scrittrice francese Marcelle Padovani, corrispondente del Nouvel Observateur, già presidente della Stampa Estera in Italia.

Benedetta non voleva "fare l'artista". Troppi lo erano stati nella sua f amiglia. Il trisnonno era un grande liutaio, il padre e il bisnonno pittori, suo zio era Scipione. Oggi la sua casa - atelier è piena di sculture, di schizzi, di acquerelli, e il suo armadio di radiografie. Sì: di radiografie.

In tutte queste opere, colpisce l'impressione di deserto, le ombre delle sculture, le tracce di monumenti, la struttura vivida delle lastre. E un progetto di balletto, interamente disegnato, che racconta la storia di una ragazza: lei gioca con le ombre, i visi sono coperti, la realtà è ridotta a ombre, gli effetti sembrano contro la luce. Ma mentre gioca con le ombre, non si accorge che le stesse possono uccidere.

In quest'opera concepita a poco più di vent'anni, c'è già tutta la visione dell'arte (e della realtà) di Benedetta Bonichi: il gioco, e le ombre, che cambiano, o scoprono, la realtà. Io non conoscevo Benedetta e non sono una esperta di arte. Ma l'incontro che ho avuto con lei e con la sua creatività mi hanno violentemente scossa.

Ho voluto capire questo mio "bouleversement". E ho parlato con lei. Di tutto. Ho cercato di individuare le radici della sua attitudine a creare, ed ho scoperto che era un dialogo continuo col mondo classico, antico, condotto sempre con un misto di rispetto ed ironia. Sia negli acquerelli, sia nelle sculture, sia nelle radiografie: basta dare un'occhiata ai suoi corpi senza testa, oppure celata, sostituita da uno straccio, un fazzoletto, un colpo di vento. Ossessionata dall'"empreinte", l'impronta, già nei suoi primi schizzi, Benedetta indaga sotto le apparenze dell'essere per farne uscire la materia nascosta.

In preda a una febbre scavatrice, praticamente archeologica, lei sembra accompagnare la voglia dei corpi di scollarsi di dosso le visioni soggettive per ritrovare, o trovare, il loro essere allo stato puro. E allora mi chiedo: con questo desiderio rigoroso di essenzialità, poteva Benedetta non sboccare nella radiografia? Ci approda nel 1997, perché la luce da molto non è più decisiva per la sua ricerca, e perché ha voglia di andare oltre, di afferrare le strutture, di approdare a un'essenza che non sia estetica, ma invece capovolgimento di ogni canone formale.

Con una voglia insaziabile di verità. E con una vera e propria frenesia: cogliere la spina dorsale di oggetti, animali, paesaggi, uomini. Comincia con un pollo da tavola calda. Passerà alla storia questo pollo, con i suoi fantasmi rivelati, le sue impronte, le sue fantasie, la sua voglia di esistere al di fuori degli sguardi. Messo in posa, certo. Ma quello che accade dopo dipende soltanto da lui. Dal pollo alla donna, al fagiano, agli amanti, alla sirena.

Ognuno rivela la sua natura profonda: la donna è una mucca, gli innamorati fanno una danza macabra, la ricca borghese diventa un bel niente con dei gioielli sospesi per aria, un uomo super ben vestito lascia un mucchio di stracci imbarazzanti. Radiografare per capire, rivelare il nascosto. Simbolista, Benedetta? Neo romantica? Non lo so. Morbosa, sicuramente no. Ne rassicurante.

Con la sua formazione filosofica e antropologica, con il suo tesoro personale di cultura classica, archeologica, biologica, col suo speciale DNA di artista, lei moltiplica le citazioni: cartoline da "boudoir", pittura metafisica, capolavori anni '30. Più i fumetti, il cinema. Il bello della radiografia è che facendo saltare le rappresentazioni consuete, "normali", fa anche uscire fuori tutta l'eredità colta del nostro inconscio collettivo: il Seicento, il Barocco, Leonardo, Bacon...

Il risultato è che ci troviamo in crisi nel guardare le opere di Benedetta Bonichi: stupiti e "dérangés". "Profondamente dérangés". Perché avvertiamo attraverso questa nuova griglia di lettura, questo linguaggio inedito, di essere confrontati con qualcosa di essenziale che parla direttamente al nostro essere profondo. Con un dialogo fra strutture. Senza mediazioni.

Marcelle Padovani


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