La finestra sul torrente
di Igor Zanti
Il torrente Cervo scorreva impetuoso, ingrossato dalle piogge invernali, sotto le alte finestre del Lanificio Pria, mentre la sera striava di rosso il cielo, sopra le colline che avvolgono Biella in un abbraccio complice. I tetti delle ville che dominano, austere, la piccola cittadina piemontese venivano pian piano inghiottiti dalla notte e, ad intermittenza, come su un gigantesco albero di Natale, si accendevano le luci delle finestre.
Dietro alle ampie vetrate della galleria Zaion, al secondo piano dell’ex Lanificio Pria, si intravedevano otto figure femminili che si muovevano freneticamente, quasi a comporre una straniata danza, un inconsapevole minuetto.
L’interno della galleria risplendeva di una luce kubrichiana, sottolineando i lineamenti preoccupati delle otto artiste che con ardore, ciascuna in un angolo, si occupavano degli ultimi ritocchi alle opere esposte in mostra.
Mille pensieri attraversavano la mente di queste otto donne-otto fra le più interessanti giovani artiste italiane e straniere- ma, forse, un solo dubbio univa queste brillanti menti, una domanda, che neanche sussurrata, aleggiava palpabile nell’aria.
Perché siamo qui? Perché questo biglietto misterioso che ci ha invitato a partecipare a questa mostra? Cosa c’è dietro?
Nessuna di loro poteva immaginare che uno stesso motivo le aveva condotte a quella mostra, che un dubbio, che si è trasformato in seguito in sospetto, le aveva riunite quella sera del 17 febbraio nelle ampie sale della galleria Zaion.
Da tempo, nel mondo dell’arte contemporanea, giravano alcune voci allarmanti. Nessuno ne parlava apertamente, anche se dalle occhiate alle inaugurazioni, dai visi tirati di artisti, galleristi e critici, che si aggiravano per le fiere di Milano, Torino e Bologna, si intuiva che era successo qualcosa di grosso.
All’inizio dell’inverno del 2006, una notizia, ripresa dai maggiori giornali d’arte, aveva finalmente chiarito qual era il mistero che stava avvelenando la vita al mondo dell’arte contemporanea italiana.
Durante una grossa inaugurazione in una galleria torinese, un noto artista, non più giovanissimo, era andato in escandescenze, scappando dalla galleria e lasciando allibiti tutti i presenti.
Le cronache affermano che l’uomo, fino a un momento prima tranquillissimo, abbia cominciato a agitarsi all’arrivo in galleria di una giovane e promettente pittrice. Alla vista della donna l’anziano maestro è fuggito dalla galleria urlando : “Mi dovete lasciare stare, non ne avete abbastanza? Non siete sazie? Cosa volete ancora da me? Cosa vi ho fatto?”
Il dubbio di tutti di fronte al comportamento del noto artista si trasformò, in un attimo, in certezza. Era dunque vero che nell’ombra, una o più artiste stavano, criminosamente, complottando per attentare alla superiorità maschile nell’arte contemporanea.
La notizia scosse gli operatori del settore, che non si sentirono più sicuri della loro ancestrale e antropologicamente giustificata posizione di predominanza.
In seguito a quanto accaduto iniziò, da parte del mondo dell’arte contemporanea, una silenziosa indagine tesa a smascherare l’autrice o le autrici di questo delitto.
Anche io, come i miei colleghi maschi, sono rimasto colpito dalla notizia, ed ho dedicato molto del mio tempo, negli ultimi mesi, a cercare di risolvere questo insolito giallo.
Ho passato nottate intere setacciando i miei archivi ed analizzando cataloghi, articoli di giornale, recensioni internet, dedicati al lavoro delle più interessanti artiste italiane e internazionali.
Da questa mia ricerca sono usciti i nomi di otto artiste, che possono avere tutte le carte in regola per essere le responsabili di questo efferato delitto.
Ho deciso di invitarle ad una mostra collettiva alla galleria Zaion di Biella. Loro pensano di partecipare semplicemente ad una mostra, molte di loro non mi hanno mai visto e sanno poco niente di me. Sono ignare del fatto che il 17, non solo si inaugurerà la loro mostra, ma che verrà finalmente risolto questo caso che ha sconvolto, da più di un anno, il mondo dell’arte contemporanea.
L’originalità del lavoro, il talento, la perizia tecnica e la ricchezza concettuale presente nelle opere proposte in mostra, mi porta a pensare che fra queste artiste si debba nascondere l’autrice, o, le autrici, di questo misfatto.
Purtroppo non ce la farò da solo a raccogliere tutti gli indizi necessari ed ho bisogno del vostro aiuto.
Avete davanti ai vostri occhi le opere e di seguito troverete delle brevi schede che illustrano la biografia e il lavoro di ciascuna artista. In base a questi dati aiutatemi a capire chi fra queste geniali otto donne è la colpevole….
Indiziata n° 1
La femminea
Nome: Antonella Bersani
Luogo di nascita: Italia
Antonella Bersani è una delle artiste più intimamente femminili, o meglio, femminee, nel panorama dell’arte contemporanea italiana.
Distinguendo tra il concetto di femminile e di femmineo, intendendo quest’ultimo come un’ astrazione, non solamente legata alla donna in quanto individuo di sesso femminile, ma come valore universale legato alla capacità generatrice.
Il femmineo si identifica con l’archetipo mitologico della “Grande madre”, di Gea, di Demetra, divinità che sovrintendono non solo alla fertilità umana, ma al culto della generazione e della rigenerazione universale.
E’ interessante notare come le opere di Antonella Bersani presentino una costante accezione primaverile, intendendo in questo caso la primavera come forza rigeneratrice.
Gli oggetti della quotidianità, nel mondo dell’artista milanese, germogliano come piante che si risvegliano dopo il letargo biologico invernale.
L’ iperdecorativismo utilizzato come mezzo espressivo non ha solo una funzione estetica, ma è ricco di significati che riconducono al concetto del femmineo. Se da un lato, le opere sono realizzate, per quanto concerne la parte decorativa, in panno, attraverso un paziente lavoro di cucito, che ci rimanda ad un concetto tipico della cultura occidentale, dove si identifica il lavoro del cucito con una dimensione domestica e femminile- si noti come, in questo senso, la figura della “cucitrice” diventi un topos nella storia della pittura a partire dal XVII secolo- dall’altro, l’esigenza di far fiorire le proprie opere è una metafora dell’ancestrale e femminea forza generatrice.
Fattore caratterizzante delle opere di Antonella Bersani è la presenza di un elemento ricorrente: il “frutto”.
Il frutto, nell’immaginario dell’artista, nasce come una forma di ispirazione biologica, una forma protettiva ed avvolgente, una bocciolo, una gemma pronta a fiorire, ma anche come un riferimento all’organo sessuale femminile, non tanto inteso nella sua dimensione erotica, quanto in quella più marcatamente riproduttiva, riproponendo, a mio parere, una similitudine presente negli ultimi versi del Gelsomino Notturno dove Giovanni Pascoli scrive : “E' l'alba: si chiudono i petali/ un poco gualciti; si cova,/ dentro l'urna molle e segreta,/ non so che felicità nuova”.
Anche nelle “casette” della signorina B., che sono state il soggetto di un racconto del critico Alessandro Riva, il frutto diviene una costante che germoglia, quasi come una presenza aliena, negli ambienti della quotidianità dell’artista.
Attraverso questi elementi il lavoro di Antonella Bersani si propone di analizzare l’universo femminile negli aspetti più intimi, nella femminilità legata alla quotidianità, riscoprendo, attraverso una complessa ricerca di stampo quasi antropologico, le radici stesse della femminilità e del femmineo.
Sarà forse l’arte femminea di Antonella Bersani responsabile di questo delitto?
Indiziata n° 2
L’evanescente
Nome: Benedetta Bonichi
Luogo di Nascita: Italia
Forse una delle parole che riassume meglio il lavoro di Benedetta Bonichi è evanescente.
Sono certo che non me ne vorrà se cerco di riassumere il suo lavoro in una sola parola, ma tale parola illustra perfettamente la continua sensazione che ho confrontandomi con lei e con la sua produzione artistica.
Credo che l’evanescenza non sia una qualità negativa, non avrebbe senso che lo pensassi, ma l’evanescenza è quella parte di materia poetica che caratterizza l’opera della nostra artista: è la sua firma.
Evanescente è stato il mio incontro- o meglio, non incontro- con Benedetta Bonichi.
Nel 2005 mi trovavo ad una fiera organizzata da una nota rivista d’arte in un hotel milanese. Le stanze dove erano esposte le opere di Benedetta erano proprio di fronte a quelle dove erano esposti gli artisti che avevo curato.
Penetrando nel buio della prima stanza, incuriosito dalle note dello Stabat Mater di Pergolesi in sottofondo, mi trovai di fronte alla eccezionale installazione della Bonichi intitolata, appunto, Stabat Mater. In un unico piano-sequenza veniva inquadrata una ragazza, una ripresa radiografica, intenta in un intensa pratica autoerotica. La musica, la struggente poeticità delle immagini, l’intrinseca e metaforica riflessione sul piacere e sul dolore, mi hanno colpito oltremisura, forse solo in quel momento sono riuscito a visualizzare l’antico binomio Eros/Thanatos.
Non sono tipo da facili passioni e difficilmente, ad una fiera, rimango tanto colpito da un’opera. Questo mi ha spinto a visitare l’altra stanza dove erano esposte le opere di Benedetta, le sue immagini radiografiche, le sue indagini sull’essenza e sull’assenza dell’essere umano. Mi sono trovato di fronte a delle figure “evanescenti”, a delle contemporanee vanitas, ad un bestiario fantastico che emergeva dal buio con l’inconsistente sostanza del sogno.
L’opera di Benedetta indaga l’essenza ultime delle cose, il suo scheletro, che non solo metaforicamente, ne è la parte più intima. Lo scheletro è ciò che c’è all’inizio ed è ciò che ci sarà alla fine. L’artista compie un labor limae mettendo a nudo, nel senso più letterale nel termine, il mondo che la circonda. Benedetta non è immune da una buona dose di ironia e, forse, influenzata dai suoi studi di biologia, crea esseri ibridi e fantastici che però hanno, in buona parte dei casi, degli archetipi nell’arte antica.
Ho cercato di incontrare durante quei giorni milanesi Benedetta Bonichi, purtroppo l’ho intravista solo per un momento, di spalle, l’ultimo giorno della fiera, cinque minuti prima della chiusura, poi è scomparsa, nel nulla…. Non l’ho mai più vista, l’ho sentita solo per telefono ed è lei, di solito, che mi chiama da un numero riservato…
Sarà l’evanescente e misteriosa Benedetta Bonichi la responsabile?
Indiziata n° 3
L’ironica
Nome: Ivana Falconi
Luogo di nascita: Svizzera
Ivana Falconi è un personaggio eccentrico: sono eccentriche le sue acconciature e talvolta i suoi abiti, è eccentrica la sua casa, a metà strada fra un antro di Alì Babà ed una dimora dove non ti meraviglieresti di trovare, seduti a prendere il te, il Bianconiglio, il Cappellaio Matto e Alice.
Se l’eccentricità è un modo di porsi divertente e divertito, la caratteristica che più distingue l’opera di questa geniale artista italo-svizzera è l’ironia.
Ivana Falconi è una artista complessa, che padroneggia con maestria le più disparate tecniche artistiche, prestando alla realtà un occhio attento e disincantato.
Oggetto della sua ricerca sono le manie, le idiosincrasie e le grandi tematiche della società contemporanea.
Con sguardo divertito, ironico e talvolta velato da una dolce condiscendenza, Ivana si occupa del razzismo, del sessismo, della religione, del rapporto con il denaro.
L’artista si affida a piccole composizioni scultoree, integrando i più disperati materiali, ma non tralascia la pittura e la più classica scultura in bronzo.
L’immaginario di Ivana si nutre attraverso la sua onnivora attenzione al mondo della moda, della televisione, della pubblicità, della sociologia, dell’economia.
La nostra artista riesce a fondere, con attenzione, spunti della cultura occidentale e della cultura orientale, come ha dimostrato nella gigantesca installazione Guardian Angel -di cui verrà presentata in mostra una tiratura limitata in bronzo dorato- realizzata in occasione dell’esposizione Universale Aichi, Nagoya, in Giappone, dove ha creato dei personaggi fantastici che emergono dal terreno, a metà strada fra delle divinità della mitologia giapponese e dei nani di ascendenza nord europea.
Non bisogna pensare che il linguaggio ironico di Ivana sia un facile escamotage, mirato a creare opere piacevoli ma prive di contenuti ma è, bensì, un intelligente ed acuto modus agendi, che permette all’artista di affrontare le tematiche, talvolta drammatiche, della società contemporanea
Sarà forse lo spirito ironico e talvolta goliardicamente cinico delle opere di Ivana Falconi ad aver attentato alla supremazia maschile nell’arte contemporanea?
Indiziata n° 4
La spirituale
Nome: Irina Gabiani
Luogo di Nascita: Georgia
Una delle prime impressioni che si ha osservando la produzione artistica di Irina Gabiani è quello di trovarci di fronte ad opere caratterizzate da una profonda ricercatezza. Il lavoro dell’artista georgiana è contrassegnato da un consapevole, ed a volte virtuoso, utilizzo di materiali diversi. Disegno, fotografia, pittura, scultura in porcellana o ceramica, sono costantemente presenti nella sua produzione.
L’artista non disdegna di impiegare materiali tradizionalmente ritenuti non strettamente attinenti al mondo dell’arte, sebbene nell’arte contemporanea, a partire dai primi anni del Novecento, i classici materiali impiegati nella realizzazione di un’opera sono stati surclassati da ogni genere di sperimentazione, ed è stato utilizzato di tutto, dai rifiuti industriali ai materiali organici.
Il lavoro di Irina prende il via, da un punto di vista formale, da una rielaborazione di tendenze tardo concettuali, tendenze che influenzano tutt’oggi alcuni valenti e giovani artisti italiani ed internazionali, rielaborando questa eredità culturale attraverso una sensibilità contemporanea.
L’artista dedica la sua ricerca al rapporto fra l’uomo e il divino, un divino inteso in una accezione scevra da ogni identificazione con precise correnti religiose.
La presenza panteistica della divinità, secondo la lettura di Irina Gabiani, porta ad un continuo scambio, ad un contatto quasi costante tra uomo e divinità. L’utilizzo di materiali elettrici diviene metafora dello stretto legame e dell’equilibrio fra negatività e positività, che si crea nello scambio fra umano e divino.
Per Irina Gabiani, inoltre, l’essere umano è al tempo stesso punto di arrivo e punto di partenza per entrare in contatto con la divinità. Il mondo interiore è un universo equiparabile all’universo fisico, e l’essere umano non è altro che un filtro fra queste due realtà sostanzialmente equivalenti.
Nell’opera dell’artista georgiana si riscontrano molte influenze da parte della cultura e del pensiero filosofico orientale, con particolare attenzione all’opera di Jelaluddin Rumi, mistico e poeta di origine afgana, che fondò, nel XIII secolo la comunità dei monaci dervisci.
Sarà forse la raffinata ricerca spirituale di Irina Gabiani, che si riflette costantemente nelle sue opere, ad aver messo in crisi il mondo dell’arte contemporanea?
Indiziata n° 5
L’intimista
Nome: Francesca Gagliardi
Luogo di nascita: Italia
L’universo femminile, per quanto abbiamo alle nostre spalle cinque milioni di anni di evoluzione, rimane, per noi uomini, imperscrutabile.
L’opera di Francesca Gagliardi, attraverso gli oggetti della quotidianità, indaga, con accenti di delicata poeticità, la complessità dell’essere donna
Il rapporto con gli abiti, con le borse, con le scarpe e con gli oggetti tipici del make up, viene letto, dall’artista novarese, non tanto in una accezione legata alla vanità personale ed al desiderio di apparire belle, quanto in senso più intimistico.
Tutti gli oggetti presentati nelle opere della Gagliardi assumono il valore di impronte della memoria, testimoni silenti e comprensivi della vita femminile.
Le borse, attraverso una lettura metaforica degli oggetti che contengono, divengono il ventre rassicurante in cui una donna ripone le sue incertezze e le sue paure ed, al tempo stesso, si trasformano in prolungamenti degli spazio domestici.
I rossetti, i mascara, gli ombretti, le matite per gli occhi, assumono forme quasi biologiche, “incarnandosi” e divenendo gli elementi portanti della struttura scheletrica che sottende al corpo metaforico della femminilità.
La cera, il disegno, la ceramica, il collage, sono materiali e tecniche costantemente riscontrabili nell’opera di Francesca, che cerca continuamente nuove opportunità che le permettano la piena e completa espressione della sua personale ricerca poetica.
Francesca Gagliardi ci dimostra come, talvolta, dietro alcuni rituali propri dell’universo femminile, si celi un fil rouge ancestrale, che lega da milioni di anni la vita delle donne, svelando al mondo che la circonda i segreti intimi di un virtuale gineceo, e utilizzando l’ovvietà di alcuni oggetti del quotidiano e la loro visionaria trasfigurazione, come metafora del vivere e del sentire al femminile.
Sarà forse l’intimistica ricerca di Francesca Gagliardi ad essere colpevole del delitto che è stato compiuto?
Indiziata n° 6
La cinefila
Nome: Sarah Ledda
Luogo di nascita: Italia
Ciak si gira…….o meglio si dipinge……
Lo stretto rapporto che intercorre tra Sarah Ledda ed il cinema è evidente dal primo momento in cui si entra contatto con le sue opere. La derivazione cinematografica dei soggetti trattati dall’artista è anche la sua cifra distintiva.
E’ interessante notare come, non banalmente, Sarah Ledda gestisca questo rapporto. La sua ricerca artistica parte da una riflessione sul potere che ha assunto il linguaggio cinematografico nella società contemporanea. L’artista utilizza questo inesauribile potere come medium per esprimere la sua poetica artistica.
I frames vengono cristallizzati dall’artista e volontariamente decontestualizzati dalla loro origine narrativa per divenire metafore assolute dell’umano sentire.
Se da una parte, sulle tele della Ledda, di solito volutamente di grandi dimensioni, quasi a riprodurre lo schermo cinematografico, scorrono le immagini delle star di Hollywood, con una particolare attenzione alla filmografia degli anni quaranta, cinquanta e sessanta, dall’altra, tali personaggi vengono colti in momenti non caratterizzanti da un punto di vista cinematografico ma da un punto di vista emotivo.
Sarah Ledda credo che difficilmente dipingerebbe la famosa scena della griglia della metropolitana di “Quando la moglie è in vacanza”, ma, piuttosto, ritrae Marilyn, con la paura negli occhi, quasi a incarnare una impersonificazione di questo sentimento, in un frame d “Niagara”.
Al centro delle opere della nostra artista appaiono sempre dei personaggi femminili, delle star di Hollywood, confuse in una folla indistinta, quasi a voler sottolineare la centralità della donna nella società contemporanea.
La materia pittorica di Sarah Ledda è sontuosa, densa, di sapore antico ma al tempo stesso modernissima e venata di immediati accenti espressionistici, simile a quella dei grandi dipinti a tema sacro dei maestri del Cinque-Seicento, con cui, attraverso i tempi, l’artista riesce ad instaurare un rapporto di sorprendente continuità.
Sarà forse Sarah Ledda la vera protagonista di questi thriller?
Indiziata n° 7
La fiabesca
Nome: Benedetta Mori Ubaldini
Luogo di nascita: Italia
Per entrare nel mondo di Benedetta Mori Ubaldini ci possono essere varie vie: si può, forse, seguire un coniglio bianco che sta leggendo affannosamente un grosso orologio da tasca, si può, per chi le porta, sbattere i tacchi di un paio di scarpette rosse, o si può, per citare uno di tanti modi, cercare un qualche passaggio in fondo a un armadio di una vecchia dimora della campagna inglese.
Forse avete intuito che entrare nel mondo di Benedetta è come entrare in un mondo fiabesco, e con questo termine non intendo solo un mondo di fate, di principi principesse, ma anche un mondo di streghe, di orchi, dove il bene ed il male, idealizzati, si scontrano per portare alla vittoria finale dell’innocenza.
Benedetta ci porta nel suo universo fiabesco attraverso le sue eccezionali e poetiche sculture in rete da polli, o più elegantemente, in inglese, chicken-wire.
Le sculture della nostra artista, talvolta gigantesche, rappresentano animali, personaggi fatati e, soprattutto, ultimamente, bambini.
Benedetta ha sviluppato una predilezione per le installazioni che coinvolgono differenti elementi, fini a se stessi e dotati di una propria indipendente personalità, ma facenti parte di un disegno e di un progetto più complesso.
Mi ha confessato che in alcuni casi il suo lavoro nasce da uno spunto cromatico, da un abbinamento armonico di colori che lei vede dall’alto, a volo d’uccello, come in un onirico mandala, ed avvicinandosi, questa composizione si concretizza svelando pian piano, le forme che diventeranno le protagoniste dell’installazione.
Costante è la presenza del bambino che interagisce con la sua innocenza con gli altri elementi della composizione. Talvolta le composizioni di Benedetta possono sconvolgere per la crudezza, belve feroci sono avvicinate ad indifesi lattanti, ma la purezza di cuore, come insegnava uno dei più grandi pensatori della cultura europea, San Francesco, riesce ad ammansire le belve più feroci.
Sarà forse la magia fiabesca delle opere di Benedetta Mori Ubaldini ad aver sconfitto i maschi orchi dell’arte contemporanea?
Indiziata n° 8
L’outsider
Nome: Chiara Todero
Luogo di nascita: Italia
La prima volta che ho visto un’opera di Chiara Todero, non la conoscevo e, per la precisione, non sapevo neanche se fosse una donna o un uomo. Ero in giuria in un concorso di pittura e dovevo scegliere, fra quattrocento opere, quattro vincitori. Confesso che il suo lavoro mi ha colpito subito. Il problema, vista la materia pittorica di Chiara, gli stretti contatti del suo agire artistico con la street art e con il mondo, affascinantissimo, della grafica contemporanea, è che mi immaginavo un accanito writer che corre per le periferie metropolitane, avvolto in una felpa con il cappuccio alzato, dopo avere “imbrattato” il vagone di una metropolitana o il muro di un abbandonato monumento di archeologia industriale, invece, mi sono trovato di fronte il dolce sorriso di Chiara.
Chiara Todero o meglio, La Mega- questo è infatti il suo TAG, la sua etichetta, la firma convenzionale che ha ogni writer- è una vera e propria outsider nel panorama dell’arte italiana e non nascondo che, sotto quelle apparenze un po’ bon ton e sotto quella laurea in architettura, non si nasconda una vera e propria Bad Girl.
La cultura artistica dei writers è stata per lungo tempo, soprattutto in Italia, poco apprezzata; sono recentissime le aperture fatte, a mio parere dimostrando grande attenzione e sensibilità, dall’attuale assessore alla cultura di Milano, Vittorio Sgarbi, a questa interessantissima tendenza dell’arte contemporanea. Non bisogna comunque dimenticare che sia Jean Michel Basquiat che Keith Haring erano, agli esordi della loro carriera, due writers.
Nel mondo dei writers, più ancora che nel mondo, che per comodità definiremo “ufficiale”, dell’arte contemporanea, la presenza femminile è limitatissima e Chiara Todero è un po’ la mosca bianca o la pecora nera di quest’ambiente, dipende da come la si vede…..
L’opera della nostra artista è fresca, ironica, di impatto immediato, pur nascondendo una riflessione profonda sulla società contemporanea.
Ci troviamo di fronte ad una artista emergente nel mondo “ufficiale” dell’ arte, ma sicuramente di grande spessore ed intelligenza.
La colpevole sarà forse l’outsider Chiara Todero, o meglio La Mega?