VENEZIA - Arsenale, Spazio Thetis, Italia
 
   
 
FACCIA LEI
Facce e ritatti negli incroci delle culture e dei linguaggi.


Niente di più banale. Le facce. I ritratti. I volti e le espressioni che dalle rughe della storia e dell’arte riemergono sempre, zombies senza bisogno di lifting o di botulino.
Dalle origini della mimesis platonica fino alle derive espressioniste deformanti, dalle copie più vere del vero fino alle interpretazioni più soggettivizzate del modello, il ritratto è sempre stato una sfida diretta, un faccia a faccia dell’artista con la sua tecnica.
All’apparenza niente di più normale che una mostra sul ritratto, dunque.
Il ritratto come scusa allora, come pretesto d’indagine in un panorama di proposte esponenziali, in uno scenario dove il vaso di Pandora si è definitivamente rovesciato, dove il re è stato allegramente denudato e il disordine vestito col mantello di ermellino. “Grande è il disordine sotto i cieli, la situazione è eccellente” diceva un tempo un illustre cinese, ma quel tempo è oggi più presente che mai. La confusione semantica, l’indefinizione delle categorie e il pastiche linguistico dei media è sicuramente un dato stimolante per quanto anguillosamente sfuggente. La modernità è fluida e poco afferrabile e l’arte – nonostante i suoi funerali – è un fiume in piena che scorre veloce, così tanto da confondere il paesaggio, quello delle cose, quello delle categorie, quello del gusto…quello delle facce. La sovrapposizione delle aree, il mescolarsi delle discipline, il confondersi dei ruoli è un dato oggettivamente attuale. Il designer si fa artista, il fotografo creatore di immagini assolute, il grafico diventa architetto, l’artista si riduce ad artigiano, il falegname si fa scultore. E anche tutto il contrario e molto di più. Una creatività diffusa ed espansa, autentica e non autentica. Tutto insieme. Un ritorno alla sincresi totalizzante delle arti che fu propria delle avanguardie? La differenza forse sta nel fatto che oggi la vocazione comune non è quella della ricostruzione dell’universo, della rivoluzione delle tecniche, dello svecchiamento dei parametri e dei modelli borghesi. Forse. Sicura è però la crisi delle autorevolezze: si fatica ad incontrare nel giro dell’arte qualche Gropius, qualche Breton, qualche Van Doesburg, degli Apollinaire….
Eppure, contro ogni forma di misoneismo, evviva la confusione.
Resta il dovere di indagare. Anche se per poi rinunciare a mettere ordine. Faccia Lei è un tentativo di confronto tra facce che non parlano la stessa lingua, ma che comunque comunicano tra di loro.
Perché le facce sono le interfacce dell’epoca digitale, sono mappe, cartine al tornasole del dramma singolo, testimonianza della specie, segni e significati condensati, porte, porte aperte, porte in faccia. Perché le facce si scontrano, talvolta si incontrano.
Quante volte scrive Borges “los rasgos de su cara”, i tratti della sua faccia. Non li definisce mai eppure lascia intuire che dietro a loro si nasconde il mondo del cumulo dei misteri. Come sarà stata la faccia del Faust? Più drammatica e più sofferta di quella di Martin Lutero, di Pirchkeimer o di Erasmus? Non ci capiterà mai di incontrare la “cara”, notissima quanto un formaggino, di Napoleone Bonaparte. Ma di “rasgos” ne frequentiamo quotidianamente migliaia. In aereo, sulle piazze, addirittura alla Biennale di Venezia. I tratti e i ritratti sono l’ossessione del quotidiano, sono la folla, sono il termine tangibile che definisce questa assurda categoria astratta che si chiama umanità. La folla è l’unico cocktail che non si riesce mai a bere fino a in fondo. La folla siete voi, non noi, “l’enfern c’est les autres”, diceva il compagno di Simone de Beauvoir. Noi non lo diciamo più. Tutto convive, donne amici e ombrelli, pubblicità idee poco brillanti e capolavori. In un vortice velocissimo.
Infine il giudizio critico diventa inutile. C’è più divertimento nel constatare che nel catalogare. Liberi tutti. Faccia Lei.

Elena Agudio

<< Torna Indietro